La lotta per l'Art 18
PROUTIST UNIVERSAL DA' UN APERTO E CONVINTO SOSTEGNO AL SINDACATO E ALLO SCIOPERO GENERALE DEL 16 APRILE.
LA VERA BATTAGLIA SULL'ARTICOLO 18.
Lettera aperta al sindacato.
L'ostinazione del Governo Berlusconi nel sostenere la riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ha ben altri significati di quelli apertamente dichiarati da più parti.
La riforma proposta dal Governo potrebbe sembrare una misura marginale perché l'estensione del licenziamento per giusta causa non è applicata a tutte le categorie. Ma considerata in un contesto più ampio e riflessa nel futuro, la delega all'articolo 18 diventa un'arma pericolosa che proietta l'Italia e L'Europa verso un totalitarismo economico che potrebbe avere effetti devastanti per ampi strati sociali e forti ripercussioni negative sui consumi.
Il piano Berlusconi, fortemente voluto dall'ala dura di Confindustria, è stato studiato a tavolino con scopi che esulano completamente dall'intenzione bonaria di creare posti di lavoro.
L'obbiettivo principale dell'alleanza Confindustria/Berlusconi è creare una falla, una crepa che apre la strada all'indebolimento della rappresentanza collettiva dei lavoratori.
La testardaggine e la forte determinazione di Berlusconi, incalzato da Confindustria ad andare avanti con le "riforme", è giustificata dal raggiungimento di un obbiettivo indispensabile per garantirsi l'egemonia politico economica: indebolire, ridimensionare, rendere non indispensabile la presenza del sindacato nella vita economica e sociale del Paese.
La strategia prevede di partire dalle modifiche dell'art.18, che poi saranno estese a tutte le categorie di lavoratori. Più avanti si chiederà la delega per la riforma della legge che regola i contratti collettivi, poi si passerà alle pensioni, alla privatizzazione della sanità e scuola ecc. Il piano prevede che tutto questo sia attuato a stadi, lentamente ma non troppo, perché la gente non si renda conto del cambiamento in atto. L'unica cosa di cui i lavoratori devono accorgersi è che il sindacato non serve più perché un'azienda potrà licenziare a suo piacimento e convenienza, visto che il contratto diventerà un accordo privato tra il singolo lavoratore e l'impresa. Di questo passo i lavoratori, non avendo più un lavoro fisso, saranno costretti a fare contemporaneamente due o più attività saltuarie e avranno l'obbligo di crearsi una pensione privata e un'assicurazione che coprirà l'assistenza sanitaria. Se tutto questo non basterà, le famiglie saranno costrette ad indebitarsi perché nel frattempo si dovrà pagare la scuola privata per i figli, salvo che non si decida di abbandonarli nelle scuole statali che intanto saranno diventate dei veri ghetti. A questo punto perché la gente dovrà iscriversi al sindacato se questo non servirà più a tutelarli?
Questo folle progetto di liberalizzazione, spacciato come ricetta miracolosa per l'occupazione ed il benessere collettivo, non è farina del sacco del Governo Berlusconi, no. Il binomio riforme/privatizzazione è figlio della Globalizzazione economica. Quasi quotidianamente arrivano moniti dagli organismi internazionali che governano la globalizzazione come FMI, WTO, Banca Mondiale, che scandiscono slogan come: "Per il bene del mercato bisogna riformare le pensioni, bisogna fare riforme strutturali al mercato del lavoro, bisogna privatizzare...". A questi richiami fanno eco l'Unione Europea, le Banche Centrali, i Governi Nazionali, le Associazioni degli imprenditori assicurando i cittadini che queste riforme risolveranno i loro problemi.
Il grande nemico dei sindacati, che rappresentano i diritti e gli interessi dei lavoratori è la Globalizzazione economica che, guidata dall'idea di un turbo capitalismo che rispecchia il modello Made in USA, chiede la cannibalizzazione del mercato del lavoro e del welfare. La Globalizzazione calpesta i diritti dei lavoratori e delle persone in nome del mercato e della crescita economica ma bisogna ricordare ai globalizzatori che il mercato è fatto da uomini e donne ai quali non si può negare il diritto di difendere la propria dignità e i propri diritti.
L'affermazione che i Paesi all'avanguardia per liberalizzazione e privatizzazione, come ad esempio USA e Gran Bretagna, hanno risolto i loro problemi socio economici è un mito da sfatare. E' vero che in questi Paesi c'è stato un aumento del PIL ma ad esso non è corrisposta una distribuzione della ricchezza, al contrario abbiamo assistito ad una crescente concentrazione di questa. Quindi è lecito dedurre che non è poi così tanta la popolazione che ha beneficiato di questa crescita.
In questi due Paesi le riforme hanno creato:
un aumento delle ore di lavoro non corrisposte dalla crescita del potere d'acquisto dei lavoratori;
un aumento della povertà che si è estesa anche tra la popolazione occupata;
un aumento dell'indebitamento delle famiglie (in GB siamo arrivati ad un debito medio del 105% per famiglia);
un forte aumento delle disparità economiche che ha favorito una minoranza di super ricchi;
negli Stati Uniti quattro persone su dieci non possono permettersi l'accesso alla sanità, oggi privatizzata, perché troppo cara e sei persone su dieci arrivano all'età pensionabile senza copertura della pensione, anch'essa privatizzata per le stesse ragioni.
in Gran Bretagna un bambino su quattro è povero;
Da questo quadro si evince che le riforme non hanno portato un reale beneficio alla popolazione: c'è stato invece un adattamento delle persone alla precarietà. Negli Stati Uniti, con l'accrescere della precarietà è quasi sparita la rappresentanza sindacale nel settore privato e si è ridotta appena al 10% della popolazione lavoratrice. La quasi estinzione del sindacato ha favorito gli abusi sui diritti dei lavoratori ed ha intaccato fortemente il potere d'acquisto delle persone creando un esercito di lavoratori sottopagati.
In una ricerca del National Employment Law Project (Nelp) "sugli abusi del lavoro atipico", in risposta agli economisti che presentano la flessibilità come ricetta per uscire velocemente dalla recessione, si riferisce la condizione di estrema precarietà e di illegalità del mercato del lavoro negli Stati Uniti. A preoccupare in modo particolare è la tendenza sempre più diffusa a terziarizzare alcune funzioni (outsorcing) per tagliare i costi e scaricare le responsabilità quando le condizioni di lavoro non sono a norma; in questo modo la sicurezza non è garantita, i livelli dei salari sono sotto il minimo legale e gli straordinari non sono pagati. Le aziende usano la liberalizzazione del mercato del lavoro per alleggerirsi da responsabilità sociali che dovrebbero mantenere nel caso di lavoratori direttamente dipendenti. Questa è la cruda realtà di chi ha intrapreso la liberalizzazione del mercato del lavoro con un risultato prevedibile: meno regole e più ingiustizie sociali. Questo è lo scenario futuro che si prospetta se saranno abbattute le regole che tutelano il diritto al lavoro.
Con la precarietà è aumentato, in questi Paesi, il disagio sociale espresso in varie forme: aumento della micro criminalità specialmente tra i giovani, aumento dei conflitti famigliari, aumento dello stress da lavoro, aumento delle malattie legate a problemi psichici. Vivere permanentemente nell'insicurezza economica, visto il valore che l'accesso ai consumi ha nella nostra società, è un male non soltanto economico ma anche mentale per milioni di persone che si sentono escluse e frustrate e cozza anche con la crescente necessità di aumentare la qualità della vita. Un esempio per tutti è il dato sull'emergenza della micro criminalità negli Stati Uniti, confermata dall'aumento delle persone detenute nelle carceri. Il numero di persone in prigione (10 volte superiore a quelle dell'Europa), nel 1980 era di 740 mila, nel 2000 due milioni, le previsioni per il 2050 sono di 64 milioni.
L'altro dato che emerge è il crescente ricorso delle famiglie all'indebitamento per mantenere il proprio status sociale.
Questo è un dato scontato perché se le riforme prevedono un aumento della spesa per far fronte al pagamento dei servizi privati ed i salari non crescono, anzi diventano una fonte di approvvigionamento precario, il ricorso all'indebitamento è inevitabile. In sostanza le riforme prevedono aumenti dei costi della sanità, scuola e pensioni ma non degli stipendi, (negli Stati Uniti, negli ultimi 20 anni, i salari sono diminuiti del 14%). Fino a quando si potrà continuare a sopportare il debito visto che questo alla fine dovrà essere pagato?
L'altro mito da sfatare è quello che la liberalizzazione del mercato del lavoro aumenti l'occupazione.
Questo è vero in maniera relativa perché quando un'economia rallenta o è in recessione l'occupazione diminuisce velocemente soprattutto se non esistono norme che regolano i licenziamenti. Gli Stati Uniti nel 2001 sono entrati in recessione ed in un anno hanno creato due milioni di disoccupati. Come può essere convincente e rassicurante la promessa che con la riforma dell'articolo 18 nessuno sarà licenziato quando non esistono regole che tutelano il diritto al posto di lavoro? In democrazia le leggi dovrebbero essere emanate per creare maggiori tutele per i cittadini e non perché una parte di essi possa ledere i diritti, la sicurezza e la libertà di altri.
E' ipocrita e sbagliato inneggiare all'aumento dell'occupazione se essa non garantisce un sufficiente potere d'acquisto ai lavoratori che, per lo meno, dia loro la garanzia delle minime necessità e cioè: casa, indumenti, cibo, scuola e sanità. Molti dei lavori precari non garantiscono permanentemente queste necessità primarie perché magari non si lavora tutto l'anno o non si lavora un numero di ore sufficienti. Questo è il motivo per cui le statistiche indicano un aumento delle persone povere anche tra gli occupati.
Il Governo Berlusconi e l'alleato Confindustria, nel parlare dei benefici delle riforme sull'occupazione, dovrebbero aver più rispetto del popolo italiano e non trattarci come se fossimo un Paese del terzo mondo dove non esiste sufficiente sviluppo ed industrializzazione e la gente si deve accontentare di lavori con stipendi da fame. L'idea di accontentare tutti perché ogni lavoro va bene realizzando il detto: "Intanto oggi si mangia che è sempre meglio di non mangiare per niente" è una forma psicologica che offende la dignità delle persone. L'Italia ha risorse sufficienti per garantire alla propria popolazione non solo un posto di lavoro ma anche l'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori basato su una maggior distribuzione della ricchezza. Una persona deve essere considerata occupata solo quando il suo salario è sufficiente alle sue minime necessità, altrimenti che senso ha aumentare l'occupazione se poi aumenta la povertà?
E' impensabile ed irresponsabile pretendere la ripresa economica senza mettere le persone in condizione di avere un salario sicuro con il quale costruire il futuro per sé, per la propria famiglia, per i giovani e gli anziani. La politica di criminalizzazione del posto fisso deve essere combattuta in quanto la sicurezza del posto di lavoro è un diritto sacrosanto di ogni essere umano. Non si può accusare chi ha il posto fisso di essere un privilegiato che sfrutta lo Stato o il privato, casomai si devono creare stimoli e sistemi di lavoro per le persone non sufficientemente produttive ma deve essere considerato un valore e un diritto inalienabile l'aumento della qualità della vita. Sacrificare l'avvenire sociale ed economico di un'intera comunità per salvaguardare la massimizzazione dei profitti delle aziende e dei suoi proprietari è un dogma antisociale che non si può più sostenere.
Ecco perché il sindacato deve essere appoggiato e deve essere impedito al governo di estinguere la rappresentanza di milioni di lavoratori, diritto sacrosanto in un sistema democratico. Se devono essere attuate delle riforme, queste devono aumentare i diritti e la sicurezza socio economica dei lavoratori in funzione di una maggior socializzazione delle attività produttive. La sicurezza del posto di lavoro e una riduzione delle ore lavorate, abbinate ad un aumento del potere d'acquisto, si devono considerare in funzione dello sviluppo armonico dell'individuo. Tutti gli esseri umani acquisiscono con la nascita il diritto di emanciparsi e progredire oltre che nel livello materiale anche in quello mentale e spirituale, quindi i processi di modifica del mercato del lavoro devono sostenere queste necessità.
Chi pensa che questi diritti non siano compatibili con lo sviluppo economico parte da una concezione puramente materialista dell'esistenza, e quindi non rispettosa della natura umana.
E' errato pensare che l'aumento dei diritti dei lavoratori faccia fallire le grandi aziende diminuendone i profitti, considerata la forte concentrazione della ricchezza che esse hanno accumulato in questi ultimi anni. Negli Stati Uniti i salari dei dirigenti d'azienda dal 1976 al 1997 sono aumentati del 175%, nello stesso periodo si è avuta una diminuzione del 14% dei salari degli operai. Dal 1969 al 1997, sempre in USA, la concentrazione della ricchezza è sempre aumentata tanto che alla fine del '97 l'uno per cento della popolazione deteneva il 42% del totale della ricchezza nazionale, si dà per certo che questa "escalation" a tuttora non si sia fermata. In quale maniera questo processo di concentrazione della ricchezza, che si è concretizzato in tutti i Paesi occidentali inclusa l'Italia, può essere considerato democratico e sostenibile se la ricchezza non è stata distribuita e la maggior parte della popolazione è stata esclusa dalla crescita? Spogliandoci dei veli dell'ipocrisia, bisogna chiedere direttamente a quella minoranza di super ricchi che si sentono derubati e calpestati dalle richieste di rispetto dei diritti da parte dei lavoratori, qual è la loro idea di condizione umana e di progresso socio economico viste le condizioni disastrose in cui versa l'intero pianeta?
I disastri perpetrati dalla Globalizzazione economica sono ormai evidenti a tutti e chi come la Confindustria ha sostenuto questo sistema iniquo senza nessuna critica ha il dovere di aprirsi a nuove soluzioni e sedersi ad un tavolo con le altre parti sociali per varare delle vere riforme che portino l'Italia fuori della crisi economica e sociale che sta vivendo.
Per ottenere questo Proutist Universal richiede che i processi di partecipazione democratica siano estesi alle attività del mercato aprendo la strada a sistemi basati sulla Democrazia Economica.
Noi proponiamo al sindacato di aprire la strada a nuove strategie economiche adatte ad aumentare la rappresentanza sindacale dei lavoratori che, invece, la Globalizzazione economica vuole sopprimere. Le richieste di base che dovrebbero essere fatte per dare inizio a veri processi di Democrazia Economica dovrebbero garantire:
Il diritto alle minime necessità per tutti nessuno escluso.
Una maggior distribuzione della ricchezza che favorisca e migliori l'accesso ai servizi primari (sanità, scuola, previdenza).
La piena occupazione creando attività produttive e posti di lavoro nelle zone economicamente depresse del Paese.
Un sistema fiscale che determini un'equa partecipazione dei contributi allo Stato in base alla condizione patrimoniale di ciascuno.
Aumento della rappresentanza dei lavoratori all'interno delle aziende con la partecipazione ai consigli d'amministrazione in maniera da stabilire un reale rapporto di cooperazione coordinata tra le parti.
Un maggior riconoscimento salariale come contributo all'aumento della produttività aziendale in maniera da incentivare l'aumento del potere d'acquisto dei lavoratori.
La creazione di un fondo ore aziendale retribuito per la formazione professionale, civica e sociale che dia la possibilità ai lavoratori non solo di aumentare le proprie capacità lavorative ma anche di aumentare le proprie conoscenze socio economiche.
L'estensione dell'applicazione dello statuto dei lavoratori anche alle aziende con meno di 15 occupati.
E' nostra opinione che per aprire nuove strade ad "un altro mondo è possibile", la Globalizzazione economica deve essere sostituita con processi di economia bilanciata basati su una pianificazione locale che noi individuiamo nella "localizzazione del controllo dell'economia".
Localizzazione intesa come sistema di acquisizione delle necessità della popolazione a livello locale, salvaguardando le peculiarità sociali, culturali ed economiche. Un sistema di decentralizzazione economica che tenga conto delle esigenze della popolazione a livello locale. Questa strategia permetterà al sindacato di salvaguardare i diritti e gli interessi dei lavoratori aumentando l'occupazione nelle zone depresse del Paese. Il sindacato Italiano con una strategia congiunta agli altri sindacati dell'Europa dovrebbero chiedere a gran voce la localizzazione dell'economia, non soltanto per salvaguardare le necessità e la sicurezza dei lavoratori comunitari ma anche per denunciare la mancanza di diritti e di tutele per i milioni di lavoratori e lavoratrici che nei Paesi del terzo mondo producono le merci che l'occidente consuma. Deve essere duramente denunciata la politica delle multinazionali che in nome del libero mercato e della competitività usano il lavoro minorile e l'abbattimento dei costi salariali per soddisfare la loro folle sete di profitto economico.
I fatti parlano chiaro: perfino gli Stati Uniti si sono dovuti arrendere all'assurdità dell'idea che tutto debba essere globalizzato, mettendo recentemente dei forti dazi sull'importazione dell'acciaio per salvaguardare le poche produzioni rimaste in loco dalla concorrenza e dal fallimento. L'Europa già ha annunciato ritorsioni e il WTO sanzioni, ma una cosa è certa: il fallimento delle politiche della globalizzazione.
La localizzazione dell'economia non prevede guerre commerciali, ma richiede che gli scambi siano regolati dall'emancipazione economica del singolo Paese che significa sicurezza occupazionale e rivendicazioni salariali adeguate ad un reale potere d'acquisto. Deve essere trovato un nuovo assetto di relazione tra i Paesi più ricchi e i Paesi poveri del mondo, che non sia di dipendenza drogata come il neoliberismo fino ad oggi ci ha insegnato. I Paesi più poveri si devono sostenere non solo con l'estinzione del debito ma anche con politiche economiche che permettano loro di rendersi autosufficienti per lo meno per quanto riguarda le minime necessità.
Per raggiungere quest'obbiettivo questi Paesi dovrebbero:
Utilizzare le proprie materie prime (delle quali sono metodicamente derubati dai Paesi ricchi) per la produzione di prodotti necessari alla loro economia;
Usare le terre principalmente per la produzione del fabbisogno locale piuttosto che per prodotti da esportare.
Un appoggio dei sindacati a queste politiche che intendono realizzare lo slogan: "GLOBALIZZIAMO I DIRITTI, LOCALIZZIAMO L'ECONOMIA" darebbe impulso anche ad un nuovo periodo di rivendicazioni salariali e dei diritti in Italia ed in occidente, contrastando efficacemente i folli propositi monopolisti delle multinazionali. In sintesi la localizzazione deve essere vista non come un sistema di chiusura economica ma come sistema che concepisca l'aumento del benessere non solo economico ma anche sociale e culturale di una comunità, creando solide radici allo sviluppo della DEMOCRAZIA ECONOMICA.
PROUTIST UNIVERSAL DA' UN APERTO E CONVINTO SOSTEGNO AL SINDACATO E ALLO SCIOPERO GENERALE DEL 16 APRILE.
INOLTRE RICORDIAMO AL GOVERNO DI CENTRO DESTRA E ALLA CONFINDUSTRIA, CHE INTENDONO RIDIMENSIONARE LA RAPPRESENTANZA SINDACALE SULLO STILE MADE IN USA, CHE IN QUELLA NAZIONE IL SINDACATO E' STATO IL PRINCIPALE PROMOTORE DI SEATTLE, OGGI DIVENTATO UN MOVIMENTO DI PROTESTA CIVILE E PLURALISTA IN TUTTO IL PIANETA.
12 aprile 2002
Tarcisio Bonotto, Dante Nicola Faraoni, Albino Bordieri: segreteria nazionale Proutist Universal Italia
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